Negli ultimi mesi, il nostro sistema sanitario nazionale ha dovuto condurre una battaglia mai affrontata in precedenza. Migliaia di individui, infettati dal Virus SARS-CoV-2 (responsabile della pandemia da Covid-19), hanno richiesto l’accesso a rapide cure ospedaliere e a complessi trattamenti medici (spesso intensivistici). Di conseguenza, tutti gli operatori sanitari coinvolti (soprattutto di alcune regioni del nord Italia come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), lavorando in condizioni mai sperimentate in precedenza, hanno dovuto intraprendere celermente molte decisioni clinico-logistiche (come reperire rapidamente nuovi posti letto in terapia intensiva, approvvigionarsi di ventilatori per rianimazione e ottenere un esteso numero di dispositivi di protezione individuale) e attuare provvedimenti terapeutici affidandosi a poche linee guida e dati disponibili in letteratura. Inoltre, un gran numero di agenti terapeutici impegnati per combattere questa grave condizione è stato traslato, per la prima volta nella storia della medicina contemporanea, al letto del paziente direttamente dalla ricerca di base (senza aver completato tutte le fasi di sperimentazione clinica ed essere stati sottoposti a trial o studi clinici randomizzati). Inoltre, sono stati compiuti enormi sforzi gestionali finalizzati al contenimento della diffusione del virus e alla sensibilizzazione di interventi di sanità pubblica basati sull’isolamento dei casi e sulla tracciabilità dei contatti. A tutto questo si è aggiunto l’enorme lavoro di riduzione e controllo dello stress lavorativo di tutti gli operatori sanitari impegnati (spesso gravato da problematiche personali e familiari associate a questa infezione). Tutte queste strategie sono state, poi, prontamente adattate al mondo del trapianto renale (costituito da una estesa popolazione di pazienti fragile e fortemente esposti al rischio di infezione a causa della loro terapia immunosoppressiva). In questo periodo, poi, si è fatto esteso uso di nuovi strumenti informatici in grado di permettere l’interazione e l’aggiornamento del personale sanitario coinvolto nella cura di questi pazienti e, in molti casi, di facilitare la gestione clinica e terapeutica a distanza di molti soggetti.
Da questa esperienza è emerso chiaramente che l’utilizzo di tecnologie digitali che consentono il contatto remoto con il paziente e l’utilizzo di device in grado di monitorare in tempo reale il loro stato di salute rappresentano un potente, efficace e sostenibile supporto al personale medico/infermieristico e possono essere facilmente impegnate, anche in condizioni non emergenziali, nella gestione a distanza di pazienti fragili e anziani che quotidianamente affollano i nostri ospedali.
Pertanto, la telemedicina potrebbe entrare rapidamente nella pratica clinica quotidiana rappresentando un potente strumento diagnostico/terapeutico e un efficace sistema di interconnessione tra esperti impegnati nella gestione centrale e territoriale dei nostri pazienti (anche nefro-trapiantati).